Si tratta di un vetro che imita l'effetto provocato dalla lunga permanenza nel sottosuolo, tipico degli oggetti in vetro rinvenuti durante gli scavi archeologici: il vetro antico acquisisce una patina polverosa dai minerali che colano nelle falde acquifere e incidono la superficie.
Durante la fabbricazione, una miscela di diverse polveri - principalmente carbonati, nitrati e silice - viene dispersa sulla superficie dell'oggetto ad una temperatura di circa 800 gradi Celsius. Questa miscela aderisce irreversibilmente e dona lo speciale effetto di opacità e colorazione. Per migliorare l'adesione il pezzo viene nuovamente riscaldato per rendere permanente la patina.
La miscela di polveri contiene componenti fondenti (carbonati o nitrati) che si decompongono con il calore e agiscono come leganti, opachi inerti (talco, silice, ecc.) e talvolta come coloranti. Questa tecnica fu introdotta agli inizi degli anni '50 da Alfredo Barbini e da Cenedese che seppero sfruttarne al meglio l'effetto, applicandola in vasi e sculture modellati secondo linee arcaiche.
Successivamente ottenne un notevole successo e venne ampiamente ripreso dalla ditta Seguso Vetri d'Arte negli anni '70 e in una serie di articoli disegnati da Giovanni Patrini . Più recentemente la tecnica è stata utilizzata da Bisazza.
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